Maggio 2014: spedizione fotografica all’Annapurna I (8.091 m), parete sud
Nel maggio del 2014, dopo quattordici anni di assenza, ho fatto ritorno in Himalaya. Questa volta senza piccozza né ramponi, ma esclusivamente con la macchina fotografica. Lo scopo del viaggio non era più la vetta di un Ottomila, bensì il desiderio di trasferire su un foglio di carta ai sali d’argento l’anima delle più grandi vette della Terra. Quella stessa anima che mi aveva incantato come alpinista, e che ogni anno rapisce i sogni delle molte migliaia di esseri umani che si avventurano tra le sue cime ai limiti del cielo.
Grazie all’esempio e all’ispirazione ereditata da Shiro Shirahata, Vittorio Sella, Ansel Adams e dal mio maestro John Sexton, nel tempo ho lentamente maturato il progetto di fotografare in Himalaya utilizzando la mia Linhof 4×5’’ con tradizionali negativi in bianco e nero. Sono dunque tornato a risalire le lunghe valli del Nepal e, camminando tra le foreste di rododendri immerse nelle nebbie e faticando lungo le friabili morene dei ghiacciai, ho raggiunto la base della parete sud dell’Annapurna I, zona conosciuta come “Annapurna Sanctuary”.
Benché fosse maggio, la spedizione fotografica fu segnata dal maltempo. Non ebbi mai un giorno intero di sereno in tutto il mese trascorso in Nepal. Potevo vedere le montagne solo per due o tre ore, all’alba, poi le nuvole avvolgevano ogni cosa fino a sera. Per fortuna, sia il Dhaulagiri dalle colline di Poon Hill, che successivamente l’Annapurna I e l’Annapurna Sud dal campo base, mostravano le loro pareti meridionali: all’alba queste si illuminavano immediatamente e quindi riuscivo a fotografarle. Molto peggio è stato per il Machapuchare. Soltanto una volta, nel tardo pomeriggio, le nuvole si aprirono per un istante e mi permisero di fotografarlo dal campo base dell’Annapurna. Da Dhampus, invece, la foschia era sempre così densa che non riuscii neppure a scattare una sola immagine. Ho anche il rimpianto di non essere mai riuscito a fotografare il versante occidentale del gruppo dell’Annapurna dalle colline di Poon Hill. Le nuvole me lo hanno sempre impedito.
Alla fine di questo mese, nonostante tutto, avevo comunque ottenuto alcuni buoni negativi. Inoltre avevo anche ripreso i miei contatti con l’Himalaya e con il Nepal e perfezionato i meccanismi e i tempi che regolano una spedizione fotografica, che sono del tutto diversi sia da quelli di un normale trekking, sia da quelli di una spedizione alpinistica. Il peso della mia attrezzatura fotografica, superiore ai trenta chili, unitamente al mio equipaggiamento personale, mi avevano costretto a ricorrere all’aiuto di tre portatori. Inoltre, per gestire al meglio tutto il trekking, avevo con me anche un sirdar che, in qualità di guida e di capo dei portatori, mi agevolava molto nella fase organizzativa.
Poiché le pellicole piane vanno manipolate nel buio più totale durante l’inserimento e l’estrazione dal porta pellicola, ero obbligato a usare una piccola camera oscura portatile, simile a una tenda da campeggio in miniatura. Questo lavoro era sempre particolarmente penoso. Nei fondovalle il clima era caldo umido, quasi tropicale, e le mani all’interno della camera oscura si ricoprivano subito di sudore, rischiando così di danneggiare i negativi durante la manipolazione. Al contrario in alta quota, e in particolare al campo base, la temperatura era di parecchi gradi sottozero, e l’operazione di sostituzione dei negativi esposti con pellicole vergini era ostacolata da dita che diventavano subito fredde e insensibili. Queste operazioni bisognava farle di sera, al termine della giornata di lavoro, e richiedevano sempre molto tempo.
All’inizio e alla fine di questo viaggio dedicai alcuni giorni anche a fotografare Kathmandu e i suoi templi. Possedevo già molte diapositive a colori in 35mm di questa città, scattate durante gli anni Novanta, e fu un’esperienza nuova rivedere ogni cosa con la “visione” in bianco e nero attraverso il grande vetro smerigliato della mia Linhof. Bodnath, Pashupatinath, Swayanbunath, Patan, Bagdapur… nuove forme e nuove sfumature si sono materializzate per la prima volta in questa rinnovata esperienza dell’Himalaya e dei luoghi sacri della sua tradizione religiosa.