Esiste un proverbio che dice: “l’uomo è quello che mangia”. Allo stesso modo, si può dire che il fotografo fotografa quello che è. Noi siamo il frutto delle nostre esperienze e, poiché nell’arco della vita si vivono molteplici situazioni, il nostro orizzonte continua ad ampliarsi e la nostra visione continua a modificarsi e a perfezionarsi. La mia vita è stata sempre centrata sulla montagna, perciò i primi soggetti che fotografavo non potevano essere che le montagne. Ma la macchina fotografica ha funzionato come una lente di ingrandimento e ha gradualmente messo in evidenza mondi interiori rimasti inizialmente nascosti.
Così ho rivolto lo sguardo dentro me in modo sempre più acuto e ho iniziato a osservare la vita con nuovi occhi. Le montagne non erano più la sola cosa in primo piano. Nasceva una nuova realtà di forme armoniose e di luci sfavillanti. Le linee che danno forma agli oggetti hanno iniziato a danzare sul vetro smerigliato della macchina fotografica e, così come lo sviluppo rivela l’immagine latente che si forma sul negativo al momento dello scatto, le lenti dell’obiettivo mettevano a fuoco sempre meglio la varietà del mondo che mi circondava. Foglie, rocce, tronchi d’albero, ma anche barche, case, campanili, muri di cemento o porte di fienili. All’improvviso cosa fotografare perdeva di importanza per lasciare emergere unicamente la forma e la luce.
I soggetti che fotografo sono la risultante di tanti fattori, molti dei quali in continua evoluzione. La costante è rappresentata dal vivo e intenso rapporto emotivo che ho con ciò che fotografo. Anche il lavoro degli altri fotografi rappresenta uno stimolo e una continua fonte di ispirazione.