La fotografia ha avuto un ruolo importante quanto l’alpinismo nel farmi vivere le montagne. Fotografare i vasti scivoli ghiacciati del Monte Bianco, gli immensi lastroni granitici del Pizzo Badile o gli strapiombi delle Dolomiti non poteva essere che una nuova fase di quella naturale evoluzione iniziata oltre trent’anni fa con le mie prime scalate.
Materializzare sulla pellicola e in un solo attimo quell’impulso misterioso che mi lega così profondamente alla natura si è rivelata una necessità insopprimibile. Soprattutto i primi anni ritraevo esclusivamente le pareti più imponenti “depurandole” da ogni altra immagine che ne potesse in qualche modo filtrare o appannare la straordinaria espressione di forza naturale aspra e impressionante.
Così, istintivamente, davo vita all’essenza più intima della fotografia che è la medesima di ogni altra forma espressiva: attraverso lo scatto dell’otturatore della fotocamera catturavo l’emozione che nasceva nel mio animo e le davo forma materializzandola nella pellicola.
Con il passare del tempo, mano a mano che affinavo la tecnica e che prendevo conoscenza del mezzo fotografico, capivo che quest’opera di rendere concrete le emozioni è un momento altrettanto magico e perfetto di quello offerto dall’arrivo sulla vetta di una montagna. E quasi inconsapevolmente iniziavo a percorrere i primi passi su un nuovo sentiero della mia vita.